Il vicino è di nuovo lì: la punta delle ciabatte azzurrine sbuca tra i vasi che circondano il suo balcone; le foglie di uno dei pini incorniciano gli occhi puntati nella mia direzione. Sbatte qualcosa davanti a sé, forse la tovaglia, e torna dentro.
Anche oggi, attacchiamo bottone domani. Peccato, perché sembra davvero carino, per quel poco che ho visto. E non dovrebbe nemmeno essere impegnato, da quanto dice la signora Maria del piano terra.
Finisco di stendere l’ultimo lenzuolo e torno dentro anch’io, che qui fuori si sta gelando. È un miracolo che quella foresta che tiene sul balcone sia così rigogliosa, nonostante le temperature. Speravo che con l’arrivo dell’inverno sarei riuscita a vederlo meglio, magari a trovare un pretesto per scambiare due chiacchiere, ma niente: i pini hanno preso il posto dei ficus, nella barriera verde che lo nasconde.
Bah, basta pensare al vicino: la pausa pranzo è agli sgoccioli ed è ora di tornare al lavoro.
Per fortuna la giornata passa in fretta. Fuori è già buio da qualche ora e l’orologio del computer segna le sei e qualche minuto. Tempo di una bella doccia e di un po’ di tempo di qualità, io e il dildo che mi guarda dallo scaffale in fondo alla stanza.
Dio, che acquisto splendido: venti centimetri di silicone sodo ma morbido a tatto. Chiudo gli occhi e lo accarezzo con una mano, sfilandomi i pantaloni con l’altra. La superficie è tiepida come quella di un cazzo vero.
Chissà se il vicino è così dotato. Probabilmente no, ma andrebbe bene comunque: lo afferrerei come sto afferrando il dildo in questo momento, lo avvicinerei a me e–
Un cigolio.
Spalanco gli occhi.
Un altro cigolio. Pare arrivare dal soggiorno.
Settimana scorsa sono entrati in casa della signora Domenica: hanno sollevato le tapparelle con un piede di porco e le hanno svuotato casa. E se…
Il pavimento è gelato sotto i piedi nudi e la porta del balcone è un rettangolo luminoso nel buio completo della stanza, spezzato in alto dal profilo delle tapparelle. Di nuovo quel cigolio.
Porto avanti le mani e la punta del dildo dondola al ritmo dei miei passi. Chissà, magari nel buio sembrerà un manganello o un’arma di qualche altro tipo.
Il cigolio si fa più acuto, eppure non sembra esserci nessuno: oltre il vetro, il mio balcone è deserto come al solito, con le lenzuola dimenticate che sventolano dai fili e che saranno ormai ghiacciate.
Oddio, e se stessero cercando di entrare in casa del vicino? Meglio dare un’occhiata.
La folata di aria gelida mi solletica l’inguine e le cosce nude. I pini del vicino sono una barriera nera impenetrabile, eppure quel cigolio è ancora qui e si è fatto ancora più forte. Sembra che venga dall’alto: che stiano cercando di scendere dal tetto?
Oltre la strada ci sono solo i capannoni abbandonati e il lampione solitario che illumina questo pezzo di strada.
Esco sul balcone ed alzo la testa: non si vede niente, è troppo buio. Mi conviene rientrare e chiudere bene. E magari infilarmi un paio di pantaloni, dato che non mi sento più le dita dei piedi.
Di nuovo quel dannato cigolio, seguito da un rombo e da un tonfo. La tapparella mi crolla davanti, sollevando una nuvola di polvere che mi solletica il naso. Il cigolio è sparito.
L’entrata di casa è bloccata da un muro di legno e io sono sul balcone, mezza nuda.
Quasi quasi erano meglio i ladri.
Okay, calma e sangue freddo: basta chiamare aiuto. Sì, e come lo spiego ai pompieri che sono senza pantaloni e con un dildo in mano? Dio, diventerei la barzelletta di Albiate nel giro di due giorni. Piuttosto, meglio cercare di alzare questa cavolo di tapparella quel tanto che basta per entrare.
Mi inginocchio e piazzo il dildo accanto a me, la ventosa fissata al pavimento. Tocco la base delle tapparelle: ci sarà un punto dove infilare le dita e sollevare tutto, no? Ci sono un paio di tacche, troppo piccole per fare da perno.
Un fascio di luce colpisce il balcone.

«Fermo lì o chiamo la polizi– Oh!» Il vicino mi fissa dal suo balcone con una torcia in mano.
Semplicemente perfetto. «Posso spiegare.»
Il fascio di luce si sposta sul dildo, si alza di nuovo su di me. Doppiamente perfetto.
Mi alzo. «Ho sentito un rumore e sono uscita per controllare e niente, è crollata la tapparella. Sono chiusa fuori.»
«Capisco.» Il fascio di luce rimane fisso sulla mia faccia, ma gli occhi del vicino vagano verso il basso. «Scusa se te lo chiedo, ma sei…» Muove la mano libera in un gesto vago.
«Senza pantaloni, sì.»
«E quello è…»
«Un dildo, sì.» Nonostante le dita dei piedi siano pronte a staccarsi da un momento all’altro, le mie guance sono bollenti.
«Ti lancio una coperta e vediamo cosa fare.»
Il fascio di luce sparisce e rimaniamo io e il dildo. Forse dovrei buttarlo giù dal balcone. A che pro? Tanto il danno è fatto. E poi mi è costato qualcosa come trenta euro: sarebbe un peccato.
La luce torna. «Eccola qui.»
Qualcosa vola sul balcone. È morbida, grande e soprattutto calda. Mi ci avvolgo dentro come un involtino primavera.
«Chiamo i pompieri?» Il fascio di luce si sposta di nuovo sul dildo e risale.
«Ti prego, no.»
«Okay.» Il fascio di luce sparisce di nuovo. Adesso dov’è andato? Ha deciso di lasciarmi qui fuori con una coperta e un dildo per riscaldarmi?
Mi affaccio dal balcone: le luci di casa sua sono spente.
Le luci del mio soggiorno si accendono oltre le tapparelle, passi si avvicinano al balcone.
La voce del vicino. «Per fortuna hai lasciato la porta di casa aperta. Adesso vedo di sistemare la tapparella, va bene?»
Sia benedetta la mia sbadataggine. «S-sì.» Sto battendo i denti.
«Magari muoviti un po’ per riscaldarti. Cerco di fare il prima possibile.»
Mi avvolgo nella coperta e cammino avanti e indietro sul balcone; di tanto in tanto, un lembo della coperta sfiora il dildo ancora fisso sul pavimento.
«Certo che ti sei cacciata in un bel pasticcio.» La voce del vicino è bassa e separa le parole tra loro, come se fosse indeciso sul finire la frase. «Come… Vabbè, niente.»
«Mi stavo andando a fare la doccia, quando ho sentito un rumore.» Mi fermo davanti alla tapparella ancora chiusa.
«La doccia, certo. Questo spiega tutto. Beh, sì. I pantaloni, intendo.» Questa volta si mangia le parole, invece.
Non riesco a trattenere una risata. «E anche il dildo. In fondo la doccia… cioè, è calda, sei un po’ per conto tuo…»
Ride anche lui. «E se non è calda, ci pensi tu a riscaldarti.»
Un languore mi prende il bassoventre. Dall’altra parte delle tapparelle, c’è un ragazzo carino con cui vorrei attaccare bottone da una vita, la cui voce si fa più roca di frase in frase. Intorno a noi c’è silenzio e per strada passa giusto un’auto ogni tanto, seminascosta dalle lenzuola ancora appese.
Potrei fare di tutto qui e nessuno mi vedrebbe. Forse.
«Cazzo, se ho bisogno di riscaldarmi.» Lo dico prima di collegare il cervello. Sgrano gli occhi. «Non intendo…» Tossisco.
Dall’altra parte della tapparella arriva una risatina un po’ più debole di prima. «Se vuoi riscaldarti, io non ho nulla in contrario.» Sospira. «Fa freddo e bisogna fare il possibile.»
Il dildo è appena illuminato dalla poca luce che passa dalle tapparelle.
«Sicuro?»
«Non vorrei mai una fanciulla sulla coscienza.»
Stacco il dildo dal pavimento: è freddo, ma comunque piacevole in mano. Lo piazzo proprio davanti alla porta del balcone, dove si muove l’ombra del vicino. Alla mie spalle, passa un’auto in lontananza. Chissà cosa si vede, da laggiù.
Apro la coperta e mi accoscio sopra il dildo. La punta sfiora la mia entrata umida, fredda; mi lascio scivolare verso il basso e si fa strada dentro di me con un lieve squish. Il mio bassoventre è teso, si contrae intorno all’oggetto estraneo freddo lo riempie e che mi fa rabbrividire. Sospiro.
Dall’altra parte della tapparella, i movimenti di fermano. «Meglio?»
«Non ancora.»
«Allora muoviti: fa troppo freddo per stare ferma.» Anche i suoi movimenti riprendono, accompagnati dal respiro di secondo in secondo più pesante.
Mi sollevo un po’ e scendo di nuovo, mi sollevo e scendo. Sposto una mano sul monte di Venere, accarezzo il clitoride tra il pollice e l’indice. In effetti, comincia a fare molto più caldo. Lascio andare un gemito.
«Ti stai scaldando bene, sì?»
«S-sì.»
I movimenti dall’altra parte della tapparella si fanno frenetici. «Vorrei proprio vederti.»
«Allora sbrigati.»
La coperta mi scivola da una spalla. Fa caldo, troppo caldo: la faccio scivolare anche dall’altra spalla e aumento il ritmo.
Un cane abbaia, passi si avvicinano lungo la stradina e si allontanano di nuovo. Se solo avessero alzato gli occhi… Chissà che non l’abbiano fatto.
Un piccolo orgasmo mi sale lungo il corpo, fino alla gola. Lascio andare la testa all’indietro, mi lecco le labbra.
Le tapparelle iniziano ad alzarsi, le ciabatte del vicino fanno capolino, seguiti dai pantaloni tesi sul pacco, dal petto, dal viso. Ha le guance rosse e le mani sporche di polvere gli tremano.
Invece di farmi entrare, esce anche lui sul balcone e si apre la patta dei pantaloni. No, il suo cazzo non è grande quanto il dildo dentro di me, ma va bene così: mi prende per i capelli e me lo infila tra le labbra.
È salato e mi riempie tutta la bocca, facendosi strada fino alla gola. Inizia a muoversi avanti e indietro, al ritmo con cui faccio su e giù sul dildo. Entrambe le mani si stringono intorno alla mia testa, la muovono.
Un’altra auto che passa.
La luce del soggiorno illumina entrambi, io mezza nuda in ginocchio su un dildo e lui con il cazzo ficcato dentro la mia bocca. Basterebbe alzare lo sguardo verso la palazzina…
Un altro orgasmo mi fa tremare, stringo ancora di più le labbra intorno a lui, le muovo su e giù lungo la sua asta che pulsa sulla mia lingua, sulle vene gonfie che sembrano voler scoppiare da un momento all’altro.
Geme sopra di me e uno schizzo caldo mi riempie la bocca. È amaro e viscido, ma lo ingoio comunque.
Rallenta, mi lascia andare e fa qualche passo indietro.
Si guarda intorno. «Dici…» Prende un respiro. «Dici che ci ha visto qualcuno?»
«Boh?» Mi alzo. Mi tremano un po’ le gambe e sono tutta appiccicosa. «Ho bisogno di una doccia.»
«Anch’io: mi si sta gelando…» Si indica il cazzo che si sta abbassando e ride. Ha un bel sorriso e il rossore che gli tinge le guance gli dona.
Lo accompagno dentro prendendolo sottobraccio. «Ti va di darci una sciacquata insieme?»
«Solo se dopo mi permetti di offrirti una pizza.»
Sì, è proprio carino quando sorride. «Andata.»